Sono passati due anni, Anita Santa Cruz è cresciuta, forse si è fatta donna e non ho più bisogno di proteggerla dietro le serrande abbassate come stavo, ninfetta che dondolava nel giardino condominiale Anita Santa Cruz, avanti e indietro nelle lunghe giornate di un’estate qualunque. Ho pensato alla sua vendetta, a quali parole avrebbe utilizzato per ricordarmi le forme sgraziate dei miei pensieri, ho pensato all’inganno che mi avrebbe fatto cadere, alle foto che non ho mai avuto, ai miei gesti che non sono mai stati. Anita Santa Cruz è stata un capriccio, una finzione borgesiana travestita da elegia latina, un avanzo di cena che invece di destinare all’immondizia ho conservato nel frigo. Nessun quotidiano da riempire. Nessuna colpa. Nessuna vendetta.
Però ci ho pensato quando Hayley srotolava lentamente la sua condanna, e la leggeva a Jeff, legato, che ancora negli occhi fingeva di non capire: io sono un fotografo, questo è il mio lavoro. Hard Candy di David Slade è vendetta che una quattordicenne compie senza compiere, essenzialità della forma e potenza del contenuto in divenire.
[Park Chan-wook saluterà con soddisfazione questo allievo della vendetta.]
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