e risalgo

fermato all’odore dall’odore,
alla vista dalla vista,
a tutto da tutto, credo,
di non riuscire a distinguere i contorni di questo giardino:
una foglia, un albero, il giallo gracchio sotto i piedi
non hanno lo stesso colore.
la vista, mi dico, è ingrassata senza gusto.
l’odore, continuo, si racconta nel ricordo
e in silenzio. raccogliersi è farsi parlare,
cortese fino a un certo punto,
disposto – ma non troppo – a ripetermi,
nauseato dai depressi da statistica,
attorno a un tavolo di discussione liberati
dall’esserci per forza,
politica senza farla ogni giorno,
spazi e temi sbordati,
sempre collegati dalla competizione,
dall’uno contro uno, individuo assoluto
che si nutre di prossimo
e a sera si fa parlare da un estraneo
dietro la scrivania che odora di tabacco,
performanti, primi sul mercato dei farmaci
e dei pomodori verniciati la mattina presto,
primi davanti a un camino spento,
nel lavoro superdotati e dopati
per esistere meglio,
la notte deserta senza gli ululati,
la campagna ridotta a sterpaglia e muffa,
una porcilaia arredata con gusto.
e risalgo,
risalire dall’acqua è così:
pinneggiare lentamente per fissare i confini dell’apnea,
lo stacco impercettibile tra luce e oscurità,
ossigeno che si manifesta sferico
agitato dalle valigie che mi tiro in superficie.
è privo di tempo il senso della risalita.

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