Osservo muto lo svolgersi degli eventi, parlare significherebbe ammettere una certezza che ad oggi non mi posso permettere: non conoscendo il confine ultimo della verità non posso arrischiarne la difesa. La montagna non si può nascondere, il mare non può fermare il suo moto, il fiume è un messaggio con un inizio e una fine.
Amico mio, ho iniziato a scrivere una lettera per mio figlio… se esiste. E se esiste ha i miei occhi e le mie mani, cammina già come me, e un giorno mi chiamerà Babbo. Ne avverto la presenza ogni giorno che passa, penso che stia crescendo senza padre e senza madre per un vizio di forma: indosso un giogo perfetto in questo gioco di pista, sono la guardia e il ladro a seconda del giorno, il medium e il villico, il master e il portapizza. Siamo in troppi ad aver giocato a chi (si) nasconde meglio, a chi la fa più sporca e vile. L’amico non ti chiede la stessa verità che ti chiederebbe un figlio, sono ruoli diversi, sono differenti i gradi di verità. L’amico asseconda il tuo dubbio, e rilancia l’osmosi… L’amico NON sono tutti, né sono tanti.
Come posso avere fiducia di un amico che mi nasconde la sua paternità?
Per esempio.
Come posso raccontarmi sano se sistematicamente ipotizzo una demolizione controllata di ogni mia creazione materiale e immateriale?
Minare il sentimento e saperne prevedere il crollo, bruciare una collezione intera di disegni per un’opera più grande, esplorare il sacrificio e distinguerlo dal duello. La vittima del sacrificio davanti alla divinità non deve intendere né volere. Isacco si fida di suo padre Abramo e lo segue fino ai piedi dell’altare. Il padre è diventato carnefice per volere di Dio, quindi la comunità che in quel Dio crede solleverà Abramo l’omicida da ogni colpa. Il figlio potrebbe ribellarsi? Dovrebbe? Nella Genesi leggiamo che ad accompagnare padre e figlio ci sono due servi, che non sanno e mai sapranno: Sedetevi e dimorate qui, con l’asino; io e il ragazzo andremo fin là, faremo adorazione e poi ritorneremo da voi. Isacco non scappa perché non sa, Isacco non scappa perché è già addomesticato. Isacco si fida del padre!
Abramo prende la legna e la sistema sulle spalle di suo figlio.
Isacco domanda al padre dove sia l’agnello: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?
Dio si provvederà da sé l’agnello per l’olocausto, figlio mio!
E invece.
Perché non scappa selvatico, Isacco, quando Abramo lo sistema sull’altare con tutti i rami per il fuoco che se lo mangerà? Perché non scappa, Isacco, quando Abramo prende in mano il coltello che lo scannerà da vivo?
Il sacrificio prevede una vittima da iniziare alla vita.
Il timore incosciente del figlio si confonde con il timore sapiente di Abramo, servile e militaresco di fronte al suo Dio.
Perché non chiede spiegazioni il nostro Isacco?
Sia fatta la volontà di Dio.
Mio padre ha tentato di uccidermi.
Tuo padre sarà benedetto e la sua discendenza sarà moltiplicata.
Mio padre non è capace di intendere e di volere quando si mette a parlare con Dio.
Ma ecco un ariete ardente, ghermito dal fuoco, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo prende l’ariete e lo offre al suo Dio al posto del figlio Isacco.
La nascita arreca con sé l’inconveniente della morte. E ogni figlio di questa terra lo apprende da solo.
(Antiguida, Libro n. 5, Il cinema del disincanto)
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