sei ancora vecchio, sole, e strisci di sangue il mio cielo al tramonto

ma sei impresentabile.
certo, i tuoi vicini ti invitano a cena, ti dicono di sederti, e ti chiedono se mangerai con loro. rispondi che hai pranzato che erano le cinque, tre ore fa. non hai tanta fame, ma farai loro compagnia. apparecchiano anche per te, intrattenuto da un televisore a guardare una partita di calcio che alla fine offrirà due calcioni negli stinchi come massimo dell’eleganza. pochissimo, nevvero. pochissimo calcio e pochissima poesia di questi tempi. ma non glielo dici ai tuoi vicini di casa, parli poco, fumi, bevi e finalmente puoi stare in silenzio fra le persone, senza dover dire com’è stata bologna, senza dire cosa è stato, silente e in compagnia, ipnotizzato da una palla che rotola su di una prato verde bagnato di pioggia. due ore di tregua. da rimproverarti mai. due ore di tentata poesia e sul finale di partita la testa piccola di un cane che si infila sotto il tuo braccio: una presenza accanto a te esige attenzioni, trasmette, vive:
ciao cane, da quanto tempo.
ma sei impresentabile ugualmente.
entri nella libreria di via mascarella, da modoinfoshop, si chiama così. una bella libreria, un bel percorso librario, un lettore lì dentro si trova bene. io lettore mi trovo bene. chiedo del mio libro ametà che la mia amica ha portato loro giorni prima, ne ha lasciate tre copie. uno dei quattro librai mi dice che non li ha presi in carico lui. gli faccio vedere una delle copie che tengo nella borsa. nel frattempo pago, dico, pago il libro di calasso a metà prezzo, sì. e poi gli dico che avevo già lasciato altri libri in passato, l’annuario, racconti di periferie, e – scandalo degli scandali – non volere è potere. arriva il secondo libraio, poi il terzo… bene, uno di questi due avrà preso i miei libri in carico e vorrei capire dove sono, se ci sono, se posso mandare in questa libreria chi mi chiede dove può trovare il mio libro ametà.
occhiali con montatura nera, basettone, baffo, occhio fin troppo serio. ah, sì, dice prendendo in mano il mio libro e sfogliandolo, cinque anni di vita nelle mani del libraio con gli occhiali, quel librettino è ancora troppo piccolo per star solo, vedo che non si difende il mio librettino ametà nelle mani del libraio, non urla…
e quindi ascolto: eh, c’è il solito problema, la collaborazione col francese. ma cosa c’entra il francese? dico io, questo che hai in mano è un romanzo ametà. leggilo e dimmi. (mi pare evidente che ognuno di noi in casa propria possa fare quello che vuole, decidere chi far entrare e quando. ma una libreria è una cosa diversa, dai, e non solo in quanto spazio pubblico.) ma il libraio mi dice che il contenuto non c’entra nulla, sono proprio io, le mie frequentazioni di senso a disturbare. lui si fida di chi gli ha detto: oh, ma cosa fai entrare in questa libreria? non volere è potere non può stare in questa libreria! il problema, in quel libro, è alain de benoist, che ci si ostina a non leggere ma a commentare. il libraio mi dice che non l’ha mai letto de benoist, che si fida. ma non volere è potere, de benoist, le nuove sintesi e tutto quel discorso pubblico che si dovrebbe fare e invece si tace, tutto questo, cosa c’entra con un romanzo? nel frattempo, gli dico, magari non ti ricordi, ma portai altri libri, di narrativa, e quelli li caricaste. e restarono qui diversi mesi. sbagliammo, mi risponde, non avremmo dovuto nemmeno caricarli, non abbiamo nemmeno i libri di saviano!
caro libraio, parliamo proprio due lingue diverse io e te, altro che librerie indipendenti, piccola editoria, decrescita editoriale, grandi gruppi editoriali, distribuzione, sconti ai librai, lettori, scrittori, altro che idee, piccolo è bello, reti e democrazia, altro che rivoluzione mio caro libraio con gli occhiali. e da questa sedia in cui ti scrivo mi verrebbe perfino voglia di consigliarti di mai smetter di essere curioso, mai, di dubbiare perfino il parere di un amico fidato, perfino la certezza di un maestro. pensa, caro libraio, che faccio un viaggio per andare a togliermi dei dubbi che ho letto in un libro, per parlare con chi l’ha scritto e dalla sua voce sentir risposta alla mia domanda.
la risposta ha bisogno di un tempo che riposi la domanda.
ma rimango impresentabile lo stesso, lo so.
o troppo centrale.
costruisco divani di cartapesta che conterranno libri, costruisco un dono per la mia bambina.
e penso a quel libro, che non è un commiato dalla vita.

quasi adatti.


dov’è domani?
questo mi ha chiesto.

quando i bambini piangono si parla loro di domani. se si fanno male e sono inconsolabili anche se li prendi in braccio, succede che gli racconti di dove andranno domani, a chi faranno visita. sposti la loro attenzione lontano dal pianto e un giorno avanti, introducendo il tempo nella loro vita.
la donna lo sa fare con molta delicatezza. senza promettere niente di speciale, senza provare ad allontanarsi dal dolore, porta dolcemente con sé la bambina nel futuro. come per dire che tutti dobbiamo imparare a conoscere il tempo. che forse si può crescere senza subire danni.
io non parlo mai del tempo alla bambina. parliamo di altre cose, mai molto, e mai di domani. non mi riesce, domani potremmo essere cancellati. uno ricorda tutte le volte che non ha potuto mantenere quello che ha promesso, e se si parla del tempo si finisce sempre per promettere. allora è meglio non dire nulla, qualunque cosa succeda.
eppure lei viene piuttosto spesso da me. ogni tanto per farsi spiegare, più spesso per dirmi qualcosa.
quando viene da me, mi siedo sul pavimento. non mi sembra giusto torreggiare su di lei mentre mi parla, allora mi siedo per terra, così i nostri volti sono uno di fronte all’altro.
dov’è domani?
sapevo cosa intendeva dire. aveva afferrato il concetto di variazione nello spazio, il fatto che i luoghi sono diversi l’uno dall’altro. ora nella sua vita era stato introdotto il tempo, ma lei non lo capiva. perciò cercava di spiegarlo in termini di spazio, concetto che invece le era comprensibile.

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