Parliamo di queste campagne: non trovate siano troppo silenziose?
Qual è stato il punto di non ritorno, quale il momento in cui l’equilibrio è andato in mille pezzi, dov’è la chimica che avrebbe potuto e magari dovuto sorridere davanti alla camera, e le bestie liberate senza una lettera di commiato, dov’è il tessile che rende liberi dalle punture bastarde che mi stanno rovinando le arance, dove sono le macchine che devo respirare?
«Industria.»
«Troppo facile sostenere la sua imposizione.»
«La lingua è un atto politico.»
Continuiamo il nostro lamento senza azzardare null’altro che resistenza, brevi oasi di logica pretesa, forse dei piccoli freni per una dolce caduta.
Il viaggio è già iniziato – anche se il lettore potrebbe obiettare che di luoghi se ne sono visti veramente pochi. Il viaggio è iniziato un mese fa, quando l’aereo per Cagliari è decollato da Bologna, e finirà seduti in cucina ad aspettare che dalla finestra del balcone si mostri la luna nuova di settembre. Tra Cagliari e Bologna non ci sorprenderà l’aurora sul mare e avrò modo di pensare a quei giorni e di averne paura. Mi dirai di non avere paura. Ti risponderò che ho mal di stomaco: ricordo come bruciava ogni rutto e c’eri anche tu nel letto e nell’altra stanza c’era Vasili. Agli occhi di chi mi ero già reso disgustoso? E nessuno, davvero, che si fosse reso disgustoso ai miei di occhi; forse avrei dovuto riposare, e mangiare meglio, e fumare di meno; ubriacandomi alleviavo appena i dolori, ingoiai più volte al giorno un liquido viscoso che mi felpava l’esofago, strappavo via la parte tratteggiata e spremevo la plastica del tubino tenendo la testa all’indietro:
«Andiamo, sono pronto.»
Ma poi i dolori tornavano.
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