evitazioni

La mancanza è quella che attacchiamo sul vetro del bagno per ricordarci di mancare: le maglie strette di un discorso amoroso sono necessarie alla mancanza, scaldano: il muro a pochi centimetri suonava la tua assenza: ero in un’altra casa, dentro un’altra vita; fatico sempre di più a ritrovarmi, questa casa mi ha avuto troppo e adesso che manco, quando la riprendo, a volte mi allontana: oggetti che non riconosco di aver sistemato in quel modo, perfino dentro la mia stanza. Attraverso ricordi di domani muovo nell’indefinito che credevo di conoscere fin da piccolo: la mia terra. E invece è sempre sorprendersi di un albero cresciuto o di uno sradicato, dei vicini che festeggiano la tua barba e le estati passate di birra. Aspetto di trovare te qua dentro, indicarti quell’albero cresciuto e quello sradicato. Mia madre lancetta il quotidiano: colazione, pranzo, cena e ritorno. Le ho letto il Manfred di Byron e l’ho sorpresa commossa negli occhi e non le ho fatto domande e non le ho chiesto di parlarmi: la mia non era un’invocazione.

L’evitazione è uno stato della mente che sollecita perfino i muscoli facciali. Evitazione genera mancanza: sottraggo parole all’interpretazione, cancello possibili evasioni condivise, cerchiate, dove l’esserci mio dipende da logiche a cui non riesco a rinunciare:

Caro vecchio neon: La realtà è che morire non è brutto, ma dura per sempre. E per sempre non rientra nel tempo. [DFW]

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