Il corpo come scena, il paesaggio come scena, il tempo come scena scompaiono progressivamente. Lo stesso avviene per lo spazio pubblico: il teatro del sociale, il teatro del politico si riducono sempre più ad un grande corpo molle e a delle scene multiple. La pubblicità nella sua nuova versione, che non è più lo scenario barocco, utopico, etsatico degli oggetti e del consumo, ma l’effetto della visibilità onnipresente delle imprese, delle marche, degli interlocutori sociali, delle virtù sociali della comunicazione, la pubblicità invade tutto a mano a mano che scompare lo spazio pubblico (la strada, il monumento, il mercato, la scena, il linguaggio). La pubblicità preordina l’architettura e la realizzazione di super-oggetti come il Beaubourg, le Halles o Le Villette, che sono letteralmente dei monumenti (o degli antimonumenti) pubblicitari, non perché siano imperniati sul consumo, ma perché si propongono di primo acchito come dimostrazione dell’operazione della cultura, dell’operazione culturale della merce e di quella della massa in movimento. Qui sta la nostra unica architettura oggi: grandi schermi su cui si riflettono gli atomi, le particelle, le molecole in movimento. Non una scena pubblica, uno spazio pubblico, ma dei giganteschi spazi di circolazione, di ventilazione, di effimero inserimento.
spazi di circolazione
[Jean Baudrillard, L’altro visto da sé, Costa & Nolan]
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