Mi svegliavo che era tutto nero, cercavo riparo nel caldo della notte appena passata, mi dicevo quanto fosse durato ancora questo sfregare avanti e indietro, tredici ore fuori di casa, avanti e indietro sulla via emiliana di ponente, me lo dicevo davanti al primo caffè, sotto la doccia, nei maglioni di lana grossa, la fermata dell’autobus fotografata da quattro persone, sempre le stesse, chiuse nei rispettivi giacconi stretti fino al collo, imbottiture abbondanti e silenzio agitato dalle luci di poche automobili, poi quel serpente arancio, il trentasette, che mi portava davanti la stazione, e in mezzo a questo tempo il solito deserto di strade e fermate di autobus sotto il nuovo cielo. Quel giorno però non pensai al quotidiano battere e levare da Bologna a Reggio Emilia e ritorno, lavoro di sopravvivenza trasformato in scambio multiculturale di là della materia, no, quella mattina guardai la macchia per prima cosa, la toccai ancora umida, vergognato dell’accaduto, e mi trovai ingoiato dentro il caffè…
…incapace di opporre una qualunque resistenza, mosso fra i riti di ogni mattina e abitato dal pensiero della macchia sul lenzuolo che Luisanna subito aveva provato ad avvicinare chiedendomi – incappottato prima di uscire di casa – se mi fossi alzato durante la notte, intorno alle tre:
ti ho visto nudo che aprivi il cassetto, cosa cercavi?
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