allora, ho un’ora di tempo per raccontarti la mia di serata, dopo il telefono, la scrivo qui, sui quadri venduti come ultimo regalo, bindaglio
e invece mi fermo sulla tua di serata, lontana, e l’ora che di raccontartela – maledetto tempo – è la batteria del termomultifleo, mica è la mia che posso avanzare finché chiude,
comunque, la tua serata l’ho già vista ad aspettare un’altra sigaretta, io la immagino mentre la mia si consuma,
e non è cambiato nulla, sempre mi lascio dietro troppe cose, quindi non sei tu, e non sono loro, quelli maiuscolati, e le troppe domande non rimangono solamente sulle scalette autorizzate di un locale coi riccioli all’aperto, nonnò,
dove fuori ridacchiando, sbrabolio e gurdandosi assieme, nonnò, colla birra in mano ti vedo sai?
non mi rimane di liquido altro per convincermi di un abbandono, sono le mie protuberanze, nemmeno, è l’aspetto, forse l’estatico,
sicuramente lieve dondolare di nuvole ferme, e montagne che si muovono
vabbe’,
[ho parlato a mia madre di lorca. mi è parsa interessata. me ne dovrò fare una ragione. le madri cercano quello che hanno creato.]
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